La questione Scordovillo: integrazione oppure occlusione territoriale?
L’enciclopedia Treccani definisce Rom “un insieme di gruppi migranti e nomadi diffusi in tutto il continente europeo e nelle Americhe”.
Lungi da me entrare nel merito sociale (e sociologico), non ne avrei le competenze, tuttavia è interessante capire gli aspetti territoriali e, principalmente, il diretto impatto sulla città di Lamezia. Ovvero, la questione dei rom è da intendersi come integrazione con il territorio oppure occlusione verso il territorio?
Non è semplice scindere i due aspetti. Il campo di Scordovillo (che ricordiamo è il più grande accampamento del sud Italia) è uno dei casi emblematici.
Le continue denunce DAL territorio, i sistematici abusi DEL territorio e le innumerevoli violenze AL territorio rendono la “questione Scordovillo” ormai improrogabile. Eppure Lamezia Terme non è l’unico Comune d’Italia o città d’Europa sede di un accampamento stanziale quale, per definizione, non dovrebbe essere.
In Italia sono 28.000 i rom che si trovano in emergenza abitativa e rappresentano circa lo 0,05% della popolazione italiana (Fonte AGI, aprile 2017). Si possono citare innumerevoli casi come le aree di Roma, Firenze, Napoli, Genova, Bologna e così via dicendo. Sono dislocati tra baraccopoli istituzionali, centri di raccolta per rom ed insediamenti informali.
149 sono le baraccopoli istituzionali, insediamenti monoetnici totalmente gestiti dalle Autorità pubbliche, presenti in 88 comuni dal Nord al Sud del Paese, con una popolazione complessiva di 18.000 persone di origine rom.
La questione della comunità nomade in Europa ha radici profonde. Uno studio genetico pubblicato nel 2012 su Current Biology e coordinato da ricercatori spagnoli ed olandesi (Fonte ANSA) ha svelato che le origini delle comunità Rom sparse per l’Europa hanno inizio 1.500 anni fa, con l’esodo dalla regione nord-occidentale dell’India, la loro terra madre. Le analisi genetiche hanno confermato che è l’India la culla da cui si sono originati i Rom europei. Sebbene le loro lingue risentano fortemente degli influssi provenienti dal Medio Oriente e dal Caucaso, dal punto di vista genetico i Rom hanno poco da spartire con le popolazioni di queste regioni. Una volta in Europa avrebbero raggiunto l’area balcanica, e da qui, circa 900 anni fa, si sarebbero diffusi in tutto il vecchio continente.
La diffusione in Europa, in alcuni casi, ha prodotto un integrazione “territoriale” positiva, avvenuta con successo, grande successo.
È il caso del progetto d’eccellenza dell’accoglienza rom di Berlino, un complesso dove vivono 600 rom romeni di cui 231 bambini. Per loro è previsto un appartamento (con affitto calmierato) ma anche assegni mensili di mantenimento, come per qualunque cittadino europeo in difficoltà economica che abbia già un lavoro part-time in suolo tedesco. Secondo Phinove, Ong che lavora con i rom di Neukölln (quartiere di Berlino), se guadagni 500 euro al mese e il tuo affitto è di 500 euro, allora lo Stato ti invierà un assegno di 550 euro. Quello di Neukölln è l’unico progetto nel suo genere di Berlino, ma si inserisce in una politica tedesca di appartamenti di emergenza, case popolari ed aiuti economici.
In questo senso, a mio avviso, ha ragione il Prefetto di Catanzaro nel momento in cui chiede all’Amministrazione Comunale di Lamezia Terme la redazione di un “progetto” che, aggiungo, veda interessato l’aspetto che citavo in premessa: integrazione con il territorio e non occlusione verso il territorio.
Non servono grandi proclami; prendiamo ad esempio il caso di Torino la cui Amministrazione, nello scorso mese di luglio, ha definito un PROGETTO PER il campo rom, che prevede, in estrema sintesi, l’introduzione di un canone annuale di 600 euro per poter vivere nei campi, la creazione dei rappresentanti dei campi con il compito di fare da punto di riferimento e garantire l’ordine, la pulizia e i rapporti col territorio. Elemento imprescindibile del progetto piemontese per poter vivere nei campi è il possesso di un documento valido, non avere morosità con il Comune, non avere condanne per reati specifici. Ed ancora, obbligo scolastico per i bambini al di sotto dei 14 anni, divieto di accendere roghi, ospitare persone non autorizzate.
Ma questo è solo un esempio di “normalizzazione e standardizzazione”. Ci possono essere altre soluzioni quali la sistemazione e collocazione delle numerose famiglie rom che risiedono nel campo di Scordovillo in altre zone del territorio lametino prevedendo, d’unisono con la Regione Calabria, alla revisione della normativa inerente alle case di edilizia popolare (Aterp). Certamente la comunità rom, quella onesta, legale, operaia, che VIVE la città e COLLABORA CON la città, non può essere abbandonata ma “condotta per mano” ad una piena integrazione territoriale, così come aveva avviato la Regione Calabria (Dipartimento “Cultura, Istruzione, Università, Ricerca, Innovazione Tecnologica, Alta Formazione” dell’Assessorato alla Cultura del Governo Scopelliti) con un percorso mirato ad “Istruzione, occupazione, alloggio e salute” nell’ambito del Fondo Sociale Europeo 2007-2013.
Ma non intendo soffermarmi, come anticipato in premessa, sugli aspetti strettamente sociali.
Il mio pensiero è legato ad un progetto PER la città, con la bonifica e riqualifica dell’area di Scordovillo. Un’area da destinare ai giovani, alle famiglie, alle mamme, alle nonne, puntando prima di tutto alla realizzazione di una struttura polivalente, un belvedere, una pista ciclabile (da collegare con il percorso già presente in città) ed un percorso per gli appassionati di mountain bike. L’idea di progetto è di ampliare quanto più possibile le fasce dei potenziali fruitori del “Parco Urbano Scordovillo”, individuando aree di interesse differenziate, ma integrate nel sistema territorio-parco, un “green park” caratterizzato da sistemi di mobilità elettrici (biciclette, scooter, minicar) a servizio dei cittadini.
Tutto ciò non può essere risolto in un giorno, un mese, un anno, ma se non si mettono le basi per una profonda riflessione temo che la questione “Scordovillo” rimarrà sempre secondaria.
Sono stato abituato sempre ad operare per fasi; occorre quindi programmare, pianificare, progettare, realizzare. Sono questi gli elementi con cui il territorio lametino potrà dare una risposta ferma e concreta all’annoso problema.
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