Per non fare le pecore!

Il sono Charlie. Io non sono Charlie. Questi due hashtag imperano in queste ore sui social network. Si fa a gara a manifestare la propria solidarietà utilizzando i metodi più innovativi e diretti, vuoi per far arrivare davvero un messaggio, vuoi per sentirti parte di una categoria di pensiero, vuoi, semplicemente, per dimostrare di seguire la tendenza giusta.

E qual è la tendenza giusta? Anch’io ieri sera ho condiviso un’immagine raffigurante una matita spezzata, con l’hashtag #jesuischarlie. L’ho fatto sulla scia di quel coinvolgimento emotivo tipico dei social. Accade qualcosa? Devi essere pronto a dire la tua. Ma ieri sera sono stata frettolosa, e senza pensare ho manifestato un pensiero da cui dissento, così come mantengo la distanza dall’altro hashtag #iononsono charlie.

Solo chiacchiere! Senza alcun significato antropologico, sociologico, politico, religioso, umano.

Cosa cambia dal momento che come pecore andiamo dietro alle tendenze della rete? Che succede, invece, se non lo facciamo? Non cambia assolutamente nulla. Almeno non in questo caso.

Non ho alcuna pretesa, né l’ardire di entrare in quello che è un argomento così vasto e delicato, poiché non possiedo le giuste competenze per poterlo fare. Solo una riflessione dalla mia piccola angolazione.

L’attentato di ieri al giornale satirico francese ha sconvolto il mondo. Tutte le grandi firme italiane ed europee parlano di un 11 settembre europeo, certo non paragonabile a quello delle Torri Gemelle per numero di vittime. In America, nel 2001, si volle colpire il simbolo della ricchezza. Ieri, a Parigi, si è colpito il simbolo dell’espressione e della libertà di stampa.

Va be, diciamocelo pure, quelle vignette a che servivano? Spesso hanno dato fastidio pure a noi cristiani quando ad essere finiti nel mirino di Charlie Hebdo erano il Papa, Gesù&C. Magari ci siamo fermati ad un’esclamazione di dissenso e siamo andati avanti… alla fine solo di una stupida vignetta si trattava.

Ma ieri la vignetta più drammatica e su cui c’è stato poco da ridere l’hanno disegnata gli islamici che, in nome di Allah, hanno sparato all’impazzata contro un sacco di persone, uccidendone 12. Che c’entra, poi, Allah, in tutto questo, lo sanno solo loro e quell’esaltazione che supera, violandolo ed offendendolo, l’intelletto umano.

Già, l’Islam. Cos’è? Lo sappiamo noi veramente? Quella religione che riguarda due miliardi di persone e per la quale le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini, è vietato erigere una chiesa cristiana, il potere politico coincide con quello religioso, e dove la satira (ahinoi) è inconcepibile? E’ questo l’Islam? Riformulo la domanda: è solo questo?

Quanto ne sappiamo noi? Noi che ci professiamo cristiani e che, probabilmente, non conosciamo bene neanche la nostra di religione e che alla prima provocazione rimaniamo muti, quasi incapaci di difendere il nostro Dio?

E allora se ci fermiamo un attimo a riflettere ci rendiamo conto che il vero pericolo per quel nostro Occidente, tanto odiato, pare, da questi terroristi islamici, sia la nostra sufficienza, la nostra indifferenza. E se ci mettessimo un po’ più di impegno a difendere la nostra cultura e la nostra fede? In Italia, per esempio, basta un niente, e viene messo in discussione il crocifisso nelle scuole o, addirittura, il presepe. Basta un niente, e via la gara degli pseudo opinionisti nei talk show: è giusto il crocifisso? Possiamo fare il presepe oppure il bambino musulmano si offende?

Cos’è questo se non un pericoloso segno di debolezza che, per dirla col linguaggio informatico, crea dei buchi nel nostro sistema? E non sono forse questi buchi ad essere penetrati facilmente da chi ritiene che noi occidentali siamo di troppo sulla Terra?

Eh quante domande mi sto facendo. E dove sta la verità? Chi la possiede la risposta? No no, per carità, che i filosofi e gli antropologi e i sociologi di turno non vedono l’ora di ostentare le proprie conoscenze dai vari Bruno Vespa&C.

Il mondo, ieri, è stato sconvolto dall’attentato francese e tra i primi a manifestare dissenso sono stati i musulmani, i quali hanno preso e prendono le distanze da queste persone esaltate che strumentalizzano il nome di Allah e che di religioso hanno ben poco! Ma non basta. Perché si fa di tutta l’erba un fascio. E’ l’Islam che combatte questa guerra contro l’Occidente, è l’Islam che spinge gli estremisti ad andare a morire in queste missioni distruttive. Insomma, dire musulmano equivale a dire terrorista.

Lo sappiamo che non è così, ma ci fa comodo pensarlo. E subito il pensiero va alle migliaia di persone che giungono sulle nostre coste, in cerca di speranza e di vita: perché dobbiamo accoglierle se poi si rivoltano contro di noi? La risposta è una: perché non si può fare di tutta l’erba un fascio.

La verità, forse, è che è diffusa una certa ignoranza, che ci fa comodo fermarci all’apparenza e, per riprendere da dove ho iniziato, seguiamo sui social le tendenze di pensiero senza avere il tempo di farlo nostro quel pensiero.

Svegliamoci piuttosto, perché se gli estremisti hanno deciso di combattere una guerra contro l’Occidente, noi invece abbiamo davanti un nemico invisibile che può colpire in qualsiasi momento. E abbiamo il dovere morale e civile di impegnarci seriamente affinchè il nostro modo di vivere e di pensare sia protetto.

Tiriamo fuori gli artigli altrimenti rimaniamo vittime della nostra stessa debolezza.

Candida Maione

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