Cambiano i costumi estivi. Quest’Italia che «stacca» e non va più in vacanza

Mi sono imbattuta in questa lettura e voglio proporvela qui. Si tratta di una riflessione di Davide Rondoni per Avvenire.
Se ieri dominavano le pubblicità di abbronzanti, oggi l’estate è dominata da offerte promozionali di messaggi telefonici e messaggerie. E nell’era del turismo costruito con il fai-date (apparente) di internet le mete esotiche sembrano più alla portata. Il mondo cambia, le estati cambiano. I costumi, non solo quelli da bagno, cambiano. Se ieri alberghi e pensioni attendevano per luglio e agosto le lunghe permanenze di famigliole i cui figli crescevano ogni anno, e ogni anno i nonni teneramente rimbambivano, ora con sofisticati sistemi di ogni genere di prenotazione campano su striminziti weekend. Le spiagge in parte hanno cambiato volto. Dai piccoli stabilimenti con bagnini che sembravano fare i bagnini dal neolitico, ai moderni stabilimenti che sono anche bar, palestra, lounge, zona massaggi. E spiagge disco-soft.

Gli indomiti pallonari da spiaggia che una volta scorrazzavano su larghi bagnasciuga ora invece, complice anche il ritrarsi delle spiagge sotto le onde, sono stati arretrati a bordo strada e chiusi in rettangoli di reti di protezione. Ma anche all’interno di questi non mancano le novità. Dalla normale e insabbiatissima pallavolo siamo passati a tutte le varianti di beach volley, calcio, calcetto, mix dei due, e racchettoni, racchettini etc. Accanto alle ricorrenze come Ferragosto e la notte di San Lorenzo e alle sagre di ogni genere sono comparse notti di ogni colore: rosa, azzurre, oro… Promosse da enti pubblici forse un po’ a corto di idee oltre che di soldi – e la coincidenza dovrebbe far pensare – stanno dipingendo la Penisola di colori sgargianti che spesso però “coprono” le sfumature, le identità. Se le sagre si concentrano a volte su usi culinari particolarissimi – i cento modi di fare il cighiale o la sarda o il pollo – le notti, a dispetto dei nomi variopinti, si somigliano un po’ tutte.

Ma tant’è, le estati cambiano e non solo i costumi da bagno. Le canzoni tormentone ci sono ma sono un po’ meno riconoscibili – non ce n’è più una sola, meglio così – essendo aumentate infinitamente le possibilità di reti emittenti, di canali, di apparecchi trasmittenti. Dal punto di vista delle parole, si sente parlare sempre di più di vacanze necessarie “così finalmente stacco”. Il verbo “staccare”, impiegato ormai come sinonimo di “partire e andare in vacanza” indica la necessità di allontanarsi dagli impegni e dai pensieri soliti. Ma lo indica, per così dire, con una sorta di urgenza, come se si fosse raggiunto un livello ormai insopportabile di tensione e stanchezza, per lo più, guardandosi in giro, più psichica che fisica. Non a caso aumentano le vacanze ad alta prestazione fisica, dai camminatori ai contadini per una settimana.

Urge dunque “staccare” come si fa con la frizione di un’auto perché il motore non si impalli su di giri. Insomma, si “stacca” molto più che “andare in vacanza” e perciò sono preferibili più stacchi durante l’anno (la cultura del weekend) che una lunga vacanza estiva, poiché il motore è sempre su di giri, sempre a rischio di impallarsi. Sembra che tale necessità di “staccare” sia dovuta a una ansia sempre maggiore. Lo dicono i dati dei consumi di ansiolitici e non solo. Come se ogni tanto, per non soffocare a causa di un nemico che viene da dentro, occorra “staccare”, strapparsi anche per poco dallo stress. Eppure, guardando la bellezza dei nostri monti, dei mari, dei volti amati, possiamo vedere il segno che la vita non la facciamo noi. E questo è il più grande antidoto allo stress. Staccare dall’ego.

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