“Il Personaggio”. Intervista a Raffaele Gaetano: tra filosofia e musica classica, senza disdegnare una pasta con fagioli
LAMEZIA TERME (CZ) – Raffaele Gaetano, giornalista, saggista di successo e direttore di numerose rassegne culturali in Calabria ha appena ricevuto un nuovo riconoscimento: Premio Pandora 2015, nell’ambito della prima sezione dedicata a coloro che si sono distinti nel campo della Cultura. Un’attività, la sua, quasi trentennale, al servizio della conoscenza e del sapere: rassegne, numerosi libri sul viaggio e sull’estetica del paesaggio, produzioni televisive.
Numerosi riconoscimenti nazionali poi, hanno sempre spronato il professore lametino a proseguire lungo questa strada così stimolante; solo per citarne alcuni si va dal Premio Nazionale «Ruocco» nel 2003 per gli originali studi leopardiani al Premio Letterario Nazionale «Troccoli Magna Graecia» sempre nel 2003 per i rigorosi studi scientifici sull’Estetica e sulla Storia delle idee e per il poderoso lavoro Giacomo Leopardi e il sublime. Dal Premio «Pericle d’oro» nel 2005 al Premio Letterario Nazionale «Anassilaos» del 2006 al Premio «Anthurium» del 2008 al Premio «Muricello» Città di San Mango 2013.
Quali mali affliggono la Calabria, come lavora ad un suo libro, la musica classica come colonna sonora della sua vita… ce lo siamo fatti raccontare da Raffaele Gaetano per la nostra rubrica “Il Personaggio”.
Nemo propheta in patria, il detto evangelico nel tuo caso pare smentito. Per il tuo impegno nell’ambito culturale hai appena ricevuto un nuovo premio in terra calabrese, il «Premio Pandora», organizzato dal Giornale online InfoOggi alla sua seconda edizione… E Lamezia?
Per la verità in passato ho ricevuto il «Premio Internazionale Anthurium», che è il riconoscimento più prestigioso assegnato annualmente a una personalità lametina di spicco. Non c’è dubbio che ciò mi gratifichi grandemente poiché contribuisce a dare significato al mio lavoro. Tuttavia, il riconoscimento più importante è la sollecitudine, l’affetto e la fedeltà del pubblico delle mie rassegne e dei lettori dei miei libri. Una massa informe di persone che conosco solo in parte ma di cui percepisco l’afflato, l’idem sentire rispetto a un’idea di cultura alta e riconoscibile.
Domanda scontata: a chi dedichi questo nuovo premio?
Senz’altro a mia moglie, ai miei figli. Come scrissi una volta nella dedica di un mio libro: «Anche loro sublimi».
Rimaniamo in tema… «Sola lì rimase Speranza nella casa infrangibile, dentro, al di sotto del bordo dell’orcio, né se ne volò fuori; ché Pandora prima ricoprì la giara, per volere dell’egioco Zeus, adunatore dei nembi. E altri mali, infiniti, vanno errando fra gli uomini» scriveva Esiodo: disubbidendo come Pandora, quali mali faresti uscire, ma per liberarcene, da un ipotetico vaso calabrese?
Paradossalmente anche il male ha un valore salvifico. Come insegnano limpidamente i Testi Sacri, l’esperienza del peccato è la strada maestra per la redenzione. Fatto questo preambolo, la Calabria di mali atavici ne ha sin troppi. A ciò hanno contribuito diversi fattori, non ultimo, come ricordava acutamente Giuseppe Berto, il carattere dei calabresi, sempre pronti a vendersi per un piatto di lenticchie. Ecco, credo sia venuto il tempo di ribaltare in positivo queste negatività, utilizzarle per annullarle. Per far ciò è necessario attivare circuiti virtuosi innanzi tutto a livello di coscienza collettiva, ridefinendo il concetto stesso di bene e utilizzandolo per la crescita comune.
Partiamo da lontano, come sei arrivato a intraprendere un corso di studi filosofici? E i successivi approfondimenti? Quanto la tua famiglia ha influito, se lo ha fatto, sulle tue scelte?
Il mio itinerarium mentis è del tutto personale ed è sempre andato alla ricerca di slarghi poco noti o mal noti del sapere. Vengo da una famiglia modesta e da un ambiente affatto colto. Sentivo il bisogno di andare aldilà di questa finitudine, ambivo all’infinito. Cosa di meglio, dopo gli studi liceali, di intraprendere un percorso filosofico? Il dottorato in Estetica e l’amore per la bellezza nelle sue manifestazione anche teoriche hanno fatto il resto.
Ti senti più un saggista o un intellettuale? L’intellettuale si dice che spesso utilizzi una spada per dividere buoni da cattivi e lanciare provocazioni. Uno scrittore più in generale, invece, si identifica con i personaggi, anche con quelli che mostrano i lati peggiori dell’uomo. Hemingway diceva che si può raccontare con la scrittura solo quello che si è vissuto in prima persona… Questo vale anche per uno studioso oppure no?
Non ho mai scritto romanzi, men che meno novelle. Sotto questa luce non sono un narratore. In generale potrei definirmi scrittore, considerato che nella mia vita ho prodotto tantissimo. Tecnicamente, essendo uno studioso, preferisco utilizzare il termine saggista. La visione che scaturisce dai miei scritti dona poi una allure intellettuale al tutto. Se poi ciò determini una manichea separazione tra buoni e cattivi, perdonami la citazione poco nobile, lo vedremo solo vivendo.
Come nasce un tuo libro? Quanto e quando ci lavori? Parecchi scrittori lamentano l’ossessione della scrittura. Accade anche a te di calarti così tanto accanto ai personaggi di un tuo saggio: viaggiatori oppure grandi maestri come Leopardi? Come si fa a staccarsene improvvisamente e dire: «ora è finita»?
Parto dalla fine: i veri amori letterari non si dimenticano mai. Passi anni interi a studiare un personaggio facendolo tuo in modo certo simpatetico e a volte addirittura feticistico. Quando poi hai superato questa fase continua a vivere sublimato in te. Torniamo alla domanda iniziale e cioè come nasce un mio libro. Un’opera saggistica è il frutto di una stratificazione di letture. Fissi un tema, ci giri intorno, costruisci una bibliografia, la squaderni, la ricompatti nutrendola di quelle intuizioni che nel frattempo speri sgorghino copiose dalla tua mente. Potrei scriverci una fenomenologia dell’arte. È un’esperienza veramente appagante, unica, solo chi la vive la può raccontare. Se poi il libro ha successo e viene apprezzato per la sua novità o anche per il rigore con il quale l’hai scritto è quasi da preferire ad altri piaceri.
Andiamo su qualcosa di più leggero…Oltre a studiare, insegnare, approfondire, scrivere, dirigere rassegne e una casa editrice, a cui si aggiungono programmi televisivi, Raffaele Gaetano avrà degli hobby…? Il tuo piatto preferito? E la colonna sonora della tua vita …? Un colore. Quale saresti?
Non vorrai certo farmi passare per un alieno attento solo ai piaceri dell’intelletto! Piatti preferiti tanti, soprattutto i secondi di pesce anche se non disdegno una meno prosaica pasta con fagioli o un’ancora meno prosaica trippa. Colonne sonore ne ho avute tante. Ho amato e amo il progressive rock, il jazz di cui mi pregio di essere un colto e raffinato cultore, la fusion. Anche la classica mi appassiona. In particolare musicisti che hanno incrociato la loro esperienza con le diverse correnti filosofiche come ad esempio Wagner o Mahler. Pensa, un periodo mi sono appassionato anche alla musica scoto-irlandese. Come colore non ho dubbi: il blu. È una tonalità che mi rappresenta in toto perché adoro immergermi nelle cose e non semplicemente galleggiare come fanno in tanti.
Come accade per i tuoi ospiti al Sabato del Villaggio, sono io a chiederti questa volta, esclusi ovviamente quelli scritti di tuo pugno, il tuo libro del cuore. Sottolineane un rigo.
Sono innamorato delle Operette Morali di Leopardi che trovo oltremodo istruttive e soprattutto attuali per l’uomo che ci viene restituito. Un altro libro che ho letto più volte e che rappresenta una pietra miliare nella mia formazione intellettuale e spirituale è L’Imitazione di Cristo, un’opera medievale di ascetica con la quale ognuno dovrebbe fare i conti aldilà delle proprie convinzioni religiose. Poi ci sono gli autori amati: Rilke, Salinas, Pavese tra i poeti. Epicuro, Spinoza, Bergson, Nietzsche tra i filosofi. Un rigo che mi piace sottolineare è quello di Pavese: “Per tutti la morte ha uno sguardo”.
A proposito di libri, ne Le querce sono in fiore. Memorie di viaggiatori nel lametino, uno dei tuoi ultimi libri, emerge una Calabria terra del sublime, inferno e paradiso. Come lettrice ti chiedo: la bellezza è qualcosa che ti colpisce allo stomaco, è qualcosa anche di spaventoso, ma che non riesci a smettere di guardare?
Direi di no. La bellezza è sempre espressione di un sentimento positivo. Non a caso nel mondo greco andava di pari passo con l’equilibrio, la misura, che è virtù anche etica: Platone sostiene ad esempio che «belle» sono le leggi. Il sublime esprime invece un sentimento di negatività, di disequilibrio. Una tempesta, un boato, un rumore improvviso danno un pugno in faccia alla nostra razionalità creando un cortocircuito emozionale. Ecco, il sublime è proprio questo.
Secondo Marshall McLuhan sociologo canadese, la pagina 69 di un libro è quella che indica se il libro vale la pena di essere letto o meno. Secondo lo scrittore Ford Madox Ford: «Apri il libro a pagina 99 e leggi: ti verrà svelata la qualità di tutto il testo». Entrambi di certo non si riferiscono a testi di saggistica. Ho però ripreso la pagina 69 di Le Querce sono in fiore, narra del brigante Benincasa, estratto dalle Lettere della Calabria di De Tavel. Nella pagina 99 incontriamo invece Alexandre Dumas, del quale hai riportato un passo di Viaggio in Calabria del 1835. Il lettore continuerà o meno nella sua lettura?
Sia Marshall McLuhan sia Ford Madox Ford si riferivano ad altri tipi di libri che non a un’antologia come Le Querce sono in fiore dove, evidentemente, le pagine 69 o 99 sono del tutto casuali. Proprio per questo, invito a leggere i miei scritti a carattere saggistico nei quali già all’altezza di queste pagine si trova sviluppata una riflessione organica. Tornando alle Querce sono in fiore, certo che il lettore continuerà a leggere.
Rimaniamo ai libri. In questo caso i tuoi. Ci pensi a quante mani toccano un libro? E di mano in mano vengono lasciati dei segni: un piccolo alone, un odore, una traccia più o meno labile. Come se un popolo poi orbitasse intorno a uno scrittore: mani che stringono, cercano altre mani, mani percorse da rughe, segnate. Mani morbide, limpide, bianche, nere… Immagino i libri come piccole navi che solcano le nostre vite e a ogni fermata ci cambiano la pelle, è davvero così?
Descrizione assolutamente pertinente. Come una volta scrisse Pietro Ardito, autore che ho lungamente studiato, i libri sono come i propri «figlioli»: li vedi nascere, li aiuti a crescere e a farsi le ossa, ma il loro destino è di lasciarti approdando altrove. L’augurio che ogni scrittore può farsi è che questi libri si accasino rispettabilmente. Il che significa, uscendo dalla metafora, che incontrino lettori attenti e non semplici ricercatori di feticci che li espongano come soprammobile.
Hai mai pensato di scrivere un romanzo? Magari un romanzo gotico, storico… Sicuramente faresti bene come autore romantico…
L’idea mi stuzzica da tempo e magari in futuro mi cimenterò in questa nuova avventura. Tuttavia, dovrà essere un parto naturale e possibilmente indolore. Tessere trame e tenere insieme l’ordito narrativo mi intriga, ma ripeto, deve essere un parto naturale in cui l’esperienza di studioso non si sovrapponga oltremisura a quella di scrittore. Vedremo.
Raffaele, un’ultima cosa: quando ti vedremo alzare la vera da pozzo in argento del prestigioso Campiello?
Come dicevo, dovrei intanto scrivere un romanzo. Ma sono certo che ad alzarla sarà qualcuno che mi rassomiglia… Non io.
Luisa Loredana Vercillo
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