Francesco e il Giubileo dei carcerati: Misericordia nella Misericordia
I detenuti del carcere di Milano mentre il direttore legge le disposizioni per il Giubileo seguono con attenzione. Mohammed, così dice di chiamarsi, si ferma su di un gran titolo “Maledetto chi commercia armi e fa guerre”, ha tra le mani un quotidiano con la foto di papa Bergoglio in prima pagina, fissa la foto e commenta: “Visto? Ve lo avevo detto, ogni giorno una da incorniciare. Io sono musulmano, ma questo Papa è un santo”. Ride. In galera sono tanti a pensarlo. Matteo che sta di fianco a Mohammed e deve farsi altri 6 anni per droga e rapine (molte) interviene non interpellato: “Nessuno come lui si ricorda di noi dannati, ogni volta. Ci ha messo anche nella bolla del Giubileo. Non so neanche bene cos’è, questa bolla. Ma se potessi gli direi grazie”.
Chi conosce più da vicino questo mondo di dannati non può non comprendere la grandezza dell’attenzione che Francesco riserva ai detenuti. Un’attenzione che addirittura è esplicitata in un intero capitolo della Bolla, Misericordiae Vultus con cui il Papa ha indetto il Giubileo. E il Papa l’ultimo grande evento, il 6 novembre 2016 nella basilica di San Pietro, lo dedicherà proprio a loro. Si celebrerà infatti in questa data, il Giubileo dei carcerati: “Giunga concretamente la misericordia del Padre che vuole stare vicino a chi ha più bisogno del suo perdono”: nelle cappelle delle carceri di tutto il mondo, detenute e detenuti potranno ottenere l’indulgenza e, scrive il Papa, ribandendo quanto scritto nella bolla dell’aprile scorso, “estendere il perdono fino alle estreme conseguenze cui giungono misericordia e amore di Dio”.
E prosegue: “Ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa, perché la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà.”
Ancora una volta Francesco spiazza tutti “inventandosi” potremmo dire utilizzando un paradosso, la Misericordia nella Misericordia per raggiungere davvero tutti: addirittura le porte delle celle diventeranno porte di perdono, redenzione, accoglienza!
“Gesù Cristo è, davvero, il volto della misericordia del Padre”, è il volto misericordioso di Cristo da portare agli ultimi, ai derelitti del nostro tempo; una delle priorità di Papa Francesco e del suo pontificato. E individua, se possibile, gli ultimi degli ultimi: i detenuti.
Un argomento davvero delicato a cui ci si accosta con diffidenza o non ci si accosta affatto: le carceri che spesso sono viste unicamente come dei contenitori differenziati di persone “sbagliate” di cui vorremmo liberarci, gettando la chiave delle loro celle, se fosse possibile. Alla necessaria sicurezza pubblica, che si cerca di garantire allontanando il soggetto ritenuto pericoloso dalla società perché non sia nocivo all’intera comunità (unico motivo, cioè, per il quale lo Stato è autorizzato a togliere la libertà è quello di garantire l’incolumità degli altri suoi cittadini), va garantita la rieducazione dell’individuo considerato nocivo.
Se il ruolo delle prigioni fosse unicamente di fare da “contenitore”, però, non avrebbero neppure senso di esistere. Non sarebbe che l’ennesimo spreco di denaro pubblico. Ragionando per assurdo, sarebbe allora da preferire la pena di morte, in quanto maggiormente garante che l’elemento di disturbo non arrechi più fastidio al resto della comunità. Questo però sarebbe un’enorme sconfitta. Significherebbe annullare tutte quelle potenzialità positive presenti in quella persona, solo in base ad un errore, uno sbaglio, un misfatto. Significherebbe ridurre una persona, con tutte le sue potenzialità ancora inespresse, alla misura del suo sbaglio piccolo, grande, grandissimo che sia. Se ci sono le carceri, è perché c’è la fiducia, o quanto meno la speranza che nessun errore sia così grande da poter mettere un punto definitivo alla vita di una persona. Dietro alle spesse mura di un carcere, fa capolino, la speranza tenace che il cambiamento sia sempre possibile: pur senza avere la possibilità di sapere il come, il dove o il quando, talvolta azzardando ipotesi; ma, senza questa fede nell’uomo è impossibile parlare di carcere. Papa Francesco ancora una volta ci scomoda, ci inquieta, chiamandoci alla riflessione.
Dolori, odori, speranze, rimorso, pentimento, rabbia. Il carcere è un mondo dove i sentimenti si percepiscono prima ancora di vedere i volti degli uomini e le donne che li abitano. Persino il canto dei bambini figli delle detenute, il profumo di biancheria pulita che le mamme preparano per i piccoli.
Entrare in un carcere, qualunque esso sia e in qualsiasi luogo del mondo si trovi, è sempre un’esperienza dura e struggente. Un mondo a parte quello del carcere, dei loro operatori, dei cappellani che svolgono il lavoro duro e delicato di farsi prossimo, di esseri missionari di misericordia. Ce ne sono di speciali di questi operatori nelle nostre carceri, le cui storie ho conosciuto lavorando sull’ “Assistenza spirituale nelle strutture di pena”, ma questa è un’altra storia. Ciò che invece dobbiamo sperare e per il quale dovremmo adoperarci è che i nostri legislatori possano sempre più dare dei segnali di rinnovamento per i nostri detenuti, perché sia loro permesso con sempre maggiore attenzione di imparare a leggere e a scrivere, a tessere tappeti e a lavorare al computer, a investire su se stessi sperando e sognando un futuro migliore ed anche questa però è un’altra storia.
E così mentre le immagini del Papa che spalanca la Porta Santa di San Pietro fanno il giro del mondo, prepotente, ci viene ricordato che nessuno è irrecuperabile e senza speranza: che i detenuti devono si pagare il loro debito con la giustizia “Chi sbaglia dovrà scontare la pena, questo non è il fine bensì l’inizio della conversione” scrive Francesco nella Bolla, ma non per questo disperare del perdono e della riabilitazione. Nel Vangelo viene riportato che solo Giuda commise il peccato più grande: disperò della Misericordia divina e finì suicida. Francesco apre invece i cuori alla speranza, offre una possibilità, stende una mano, quella di Cristo, all’umanità sofferente: “Tutti sbagliamo, aveva scritto Francesco nella Bolla, ma Dio va oltre”. Poi si occupa dell’ergastolo: “È più facile scartare una persona che ha avuto uno sbaglio brutto e condannarlo a morte con l’ergastolo, scrive ancora il Pontefice, ma il lavoro deve essere sempre quello di aiutarlo a rialzarsi”.
Qualche quotidiano riporta che un detenuto aveva letto su un giornale, mesi fa, la risposta che Bergoglio aveva dato al bambino di una scuola che durante una udienza nell’aula Paolo VI gli aveva chiesto se “c’è speranza di perdono per chi ha fatto cose brutte”. «C’è una canzone degli alpini, gli aveva risposto il Papa, che dice più o meno così: la vittoria non sta nel non cadere ma nel non rimanere caduti”. Ha copiato la frase. Ora è affissa in cella.
“Dio perdona tutto, Dio perdona sempre, non ci stanchiamo di chiedere perdono”, Francesco, l’ha ricordato più volte visitando le carceri che sono “tappa fissa” nelle sue uscite e viaggi apostolici. Uno a caso, il carcere calabrese di Castrovillari dove nel giugno 2014, ha riconosciuto con la consueta umiltà che “anche il Papa è un uomo che ha bisogno della misericordia di Dio”.
Papa Francesco senza disconoscere le questioni etiche e teologiche, ribadisce in questo Giubileo della Misericordia che la Chiesa non può chiudere la porta a nessuno. Attraverso i suoi cappellani ha il compito di far breccia nelle coscienze per aprire spiragli di assunzione di responsabilità e di allontanamento dal male, per intraprendere la via della conversione. Perché Cristo è per tutti, non solo per i “giusti”, perché il volto misericordioso del Signore, ci interpella e ci chiederà conto: “Ero carcerato e siete venuti a visitarmi…”
Luisa Loredana Vercillo
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