Francesco a Cuba, seppellisce proiettili e semina misericordia

cuba_papaTutto secondo copione: papa Francesco venerdì sera ha raggiunto, come sempre in privato, la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma per pregare davanti all’icona della ‘Salus Populi Romani’, ha deposto sull’altare della cappella un mazzo di fiori e si è raccolto per alcuni minuti in preghiera, poi la partenza, ieri, con la borsa nera stretta nella mano sulla scaletta dell’Airbus ‘Raffaello Sanzio’ dell’Alitalia e all’arrivo a Cuba lo zucchetto bianco è volato via come sempre per una folata di vento…
Tutto pronto e secondo il copione scritto da uno sceneggiatore fuori dal comune: lo Spirito Santo continua a lavorare alacramente e mette nuovamente il suo sigillo su questo 10° viaggio internazionale di papa Bergoglio. Un Papa che non smette di sorprendere, che sull’aereo in viaggio per Cuba ha fatto scongelare per pranzo ed offrire ai giornalisti presenti le empanadas, fagottini di pane ripieni di carne, tipici dell’Argentina che la giornalista Maria Antonieta Collins gli ha regalato confezionate in una scatola dal fiocco azzurro.
Un Papa che appena un giorno prima aveva tirato dalla tasca un proiettile e l’aveva sotterrato, come a seppellirlo, scavando con diligenza un fossetto ai piedi di un ulivo che era accanto alla sua poltrona. E’ successo venerdì quando Papa Francesco in un collegamento televisivo trasmesso dalla Cnn con le “Scholas occurrentes”, la rete mondiale di istituti educativi nata su impulso proprio di Francesco, ha risposto alle domande di due gruppi di studenti provenienti da Stati Uniti e Cuba, alla vigilia del suo viaggio in questi due Paesi. Tra le tante domande rivoltegli, alla domanda di un ragazzo cubano sui danni che sta facendo l’embargo statunitense a Cuba, in particolare ai più poveri ha risposto che “Bisogna costruire ponti affinché ci sia una amicizia sociale”, poi, al termine del collegamento, ha tirato fuori dalla tasca, sicuramente tra la sorpresa generale, il proiettile che come ha spiegato gli era stato regalato poco prima da un ragazzo di un paese che vive in una situazione di guerra. L’ulivo era stato simbolicamente piantato dai giovani dell’Avana e New York insieme e poi ripiantato a Roma. Durante lo stesso collegamento, il Papa ha parlato del ruolo di un leader: “Un leader è buono se è in grado di far sorgere tra i giovani altri leader. Se un leader vuole essere l’unico leader, allora è un tiranno”. E ancora: “Siate leader in ciò che siete chiamati a essere, leader di pensiero e di azione, ma anche di allegria, di speranza, leader nella costruzione di un mondo migliore”. “Io non voglio essere un dittatore, perciò mi piace seminare”
“Non abbiate paura, ha concluso, la paura paralizza; il futuro è nelle vostre mani”.

Anche il futuro di Cuba passa per le mani del papa italoargentino. E Francesco lo sa, per questo ha percorso 8600 Km, 10 ore e 20 minuti, per portarsi come missionario della misericordia in un paese stretto dall’embargo da 50 anni, dove i suoi leader, i fratelli Castro continuano a difendere una indifendibile rivoluzione, dove le dame bianche ( le mamme che aspettano che ritornino i figli inghiottiti dall’ideologia comunista) vengono picchiate sui sagrati delle poche chiese finalmente aperte, dove fino al 1998 non si poteva festeggiare neanche il Natale che fu restituito ai cubani grazie a Giovanni Paolo II. Cuba guarda al Papa che si fa missionario di Pace, che non esita a volare in casa dell’Ultimo Comunista e che forse stringerà anche in un abbraccio. Fidel Castro vecchio, stanco, malato, si è ritrovato e ritrova nei panni del conciliatore accanto al Papa, lui che inaugurò il suo potere facendo celebrare negli stadi i processi ai nemici politici prima delle esecuzioni capitali, lui, spacciatore di sole e di droga. Il sole per i distratti vacanzieri capitalisti in un’isola caraibica diversa, dagli alberghi e le ragazze a buon mercato, la droga invece per un sogno alimentato di irresponsabilità storica. Ora la famiglia Castro, pur rivendicando la propria fede comunista, tende le braccia verso l’altra Fede, ricorda gli anni del seminario, allievi entrambi dei gesuiti, come Papa Francesco primo pontefice americano, che tanto ha fatto per rompere il gelo fra l’Avana e Washington e che sta dando una grande, forse ultima, possibilità ai cubani.

Intanto a Cuba è polemica. Pare che il governo abbia fatto in questi giorni una operazione di “pulizia sociale”: in vista dell’arrivo di Papa Francesco, migliaia di mendicanti e senzatetto, per lo più persone anziane, sono state “internate” come sosterrebbe il portavoce della Commissione cubana dei diritti umani e chiede quindi che il Pontefice interceda affinché queste persone vengano messe in libertà perché non si conoscerebbe il luogo dove sono state portate. Negli Stati Uniti invece, un membro del Congresso dove primo Papa nella storia, Francesco, parlerà il 24 settembre prossimo accusa il Pontefice di “perdere tempo a parlare di cambiamento climatico” con “argomentazioni di sinistra”.

In realtà Papa Francesco di cosa dovrebbe parlare se non di temi legati al suo compito di costruttore di ponti? Si è già presentato con parole come pace, dignità, speranza, soluzione dei conflitti. Al Papa non sfuggiranno gli ultimi, i poveri, i detenuti, i perseguitati dal regime.
Francesco arriva a Cuba in un momento particolare della storia, dove ha contribuito ad aprire alla speranza di nuove relazioni diplomatiche tra L’Avana e Washington, con la necessità di migliorare i rapporti internazionali nel loro insieme oltre a tentare di superare definitivamente l’embargo imposto dagli Stati Uniti, e dove si attende un miglioramento nel processo di riforme interne insieme a un approfondimento delle relazioni Chiesa-Stato. Il Pontefice arriva alla Casa Bianca e al Congresso nel mezzo delle discussioni sulla questione dell’embargo a Cuba, del nucleare in Iran, del Medio Oriente e allo scoppio di una crisi epocale dei rifugiati. Il Papa parlerà dei temi trattati nelle sue encicliche e dunque di giustizia sociale, base per una pace duratura, del traffico di armi, di droga, della salvaguardia dell’ambiente, della distribuzione delle ricchezze per un’economia inclusiva e non sottomessa alla finanza.

Il Papa entra negli Stati Uniti d’America ancora una volta dalla periferia, da Cuba, dai sofferenti, dai semplici, dagli ultimi, i perseguitati, come “pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti” come scrive nell’Evangelii gaudium. Grande è l’attesa su quelli che saranno i risvolti concreti della sua parola illuminante, del suo carisma, del messaggio evangelico di cui si fa portatore. Il Papa porta a Cuba, simbolo di un mondo dove le ideologie falliscono, una notizia nuova, una buona novella, quella incarnata dal “Cristo, la carezza di Dio”; in un mondo che è “assetato di pace” Francesco ricorda a gran voce che solo Cristo può essere la pace vera: “E’n sua volontade è nostra pace: ell’è quel mare al qual tutto si move” scriveva il Poeta.
Il Pontefice non ha bisogno di alcuna strategia politica ma si è presentato “come missionario della misericordia, della tenerezza di Dio” … perché “tutto il mondo sappia che Dio perdona sempre, che Dio è sempre al nostro fianco, che Dio ci ama”… Ed è per questo che seppellisce proiettili mentre semina misericordia.

Luisa Loredana Vercillo

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