La DNA: la Chiesa di Calabria alzi la voce contro la ‘ndrangheta
La relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia, partendo dall’analisi dei fatti dell’estate scorsa: la sosta delle statue della Madonna durante le processioni presso le case dei boss, che avevano portato il vescovo Francesco Milito della diocesi di Oppido -Palmi a sospendere tutte le processioni a tempo indeterminato e la Conferenza Episcopale Calabra a compilare un decalogo da diffondere presso tutte le Parrocchie, tocca un tema spesso taciuto o passato in secondo piano per tutta una serie di motivi.L’analisi che ne risulta è piuttosto dura verso certi atteggiamenti assunti in passato dalla Chiesa.
La ‘ndrangheta come sappiamo è una potente organizzazione criminale che come una piovra, ha steso e stende i suoi tentacoli su vari settori ed apparati: politico, imprenditoriale, sociale, finanche religioso. La Chiesa, nella relazione annuale appunto della DNA soprattutto quella costituita da preti e vescovi della Calabria, Sicilia e Campania è tacciata di tanti segni di “falsa religiosità” che hanno alimentato le collusioni mafiose. Chi doveva “contrastarli davanti allo stesso popolo non l’ha fatto” ignorando perfino messaggi forti ed inequivocabili come quelli di Giovanni Paolo II ad Agrigento e di Benedetto XVI a Palermo.
Ultimo segno in ordine cronologico di questa “debolezza”, in alcuni frangenti della chiesa locale, è data per esempio dall’ ultima operazione contro la ‘ndrangheta, legata ad una cosca crotonese dove è emerso perfino l’intervento di un fantomatico monsignore (per il momento non indagato) nel trasferimento di un detenuto da un carcere all’altro.
La ‘ndrangheta gode di ampi, continui, inesauribili, appoggi interni qualche volta anche dalla Chiesa. Su questo aspetto si è soffermato Franco Roberti, procuratore nazionale Antimafia: “Sono convinto che la chiesa potrebbe moltissimo contro le mafie e che grande responsabilità per i silenzi sia della Chiesa. Viene ammazzato don Diana, poi don Puglisi: reazioni zero. Siamo dovuti arrivare al 2009 per iniziare a parlarne timidamente. Ora finalmente si è mossa qualcosa con Papa Francesco, ma per decenni la Chiesa avrebbe potuto fare ma non ha fatto nulla. Papa Francesco ne parla apertamente ma sono dovuti passare altri 6 anni per la scomunica dei mafiosi”.
E Papa Francesco proprio nella scorsa settimana ha ricevuto in udienza i fedeli di Cassano che hanno ricambiato al Pontefice la visita del giugno scorso. Visita nella quale il Santo Padre aveva scomunicato con fermezza i mafiosi. Roberti a questo proposito osserva: “il Papa ha pronunciato parole di grande impegno, quasi un programma antimafia e dopo quella visita l’atteggiamento della chiesa locale è cambiato: sono così finalmente risuonate esplicite parole di condanna contro quella blasfema manifestazione di finta religiosità avvenuta a Oppido Mamertino e sono stati maggiormente sostenuti giovani preti che operano sull’esempio di due eroi dell’antimafia che sono don Peppino Diana e don Pino Puglisi, uccisi a causa dei valori che divulgavano”.
Infine tra i segni concreti di cambiamento, la relazione della Direzione Nazionale Antimafia ha ricordato il decreto del vescovo di Acireale del 20 giugno 2013, che ha vietato nella sua diocesi il funerale in chiesa al mafioso condannato che non abbia manifestato, alcun segno di ravvedimento. Un “provvedimento questo certamente innovativo” e che anticipa di lì a poco quella che sarebbe stata la scomunica di Papa Francesco nella visita alla Diocesi di Cassano.
La Chiesa soprattutto locale, dunque è chiamata a fare la sua parte con maggiore impegno rispetto al passato, a liberarsi se possibile ancor di più dalla paura, a liberare dalla paura. Ad alzare la voce con maggiore convinzione. La strada intrapresa è quella giusta.
Luisa Loredana Vercillo


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