Un derby linguistico tra Vigor Lamezia e Sambiase

C’è un lungo repertorio di filippiche letterarie e popolari a costellare gli scontri interpersonali: provo a pensare a quelli relazionali, in primis, avvenuti durante il Neoclassicismo («Questi è Vincenzo Monti cavaliero, /gran traduttor dei traduttor d’Omero, detto, tra le rime, da Foscolo»; «Questi è il rosso di pel Foscolo detto / Sì falso che cangiò fino se stesso / Quando in Ugo cangiò ser Nicoletto; /Guarda la borsa se ti vien dappresso», con evidente replica dell’altro); oppure alle apostrofi urbane di Dante Alighieri («Ahi Pisa, vituperio de le genti / del bel paese là dove ’l sì suona, / poi che i vicini a te punir son lenti, / muovasi la Capraia e la Gorgona, / e faccian siepe ad Arno in su la foce, / sì ch’elli annieghi in te ogne persona!»), senza contare le lotte intestine nel cuore della vita florense tra guelfi, da una parte, e ghibellini, dall’altra.

A tutto questo faccio seguire qualche derby cittadino in non pochi Comuni d’Italia, e noi qualche traccia l’abbiamo lasciata, addirittura, sul piano linguistico: altri tempi, diremmo! «Se a Sambiasi ᾿un si fhacìa lu pani, a Nicastru si murìa di fhami!»: della serie, «c’è chi produce e c’è chi consuma», baciatamente ritmati, sul piano della versificazione, ma espresso con un ghigno di scortesia.

Che dire, poi, di «Shambiashi quattru shordi di shardi shalati» con chiara allusione alla sottostima sociale dei sambiasini, etichettati come piccoli risparmiatori, sì, ma paragonati alle quattro minutaglie del loro portafoglio. Ancora, «Nicastru ᾿u paisi di nchjiastri», con un bel grecismo a francesismo d’allora (gr. èmplastron), potremmo dire, individua un paese di empiastri, cataplasmi, noiosi e scostanti, e mi taccio qui!

Meno male che siamo uni ed uniti da più di 50 anni: ora ci facciamo scivolare addosso frasi infelici con una bella risata liberatoria.

Buona maestra è stata la storia come giudice di un consorzio umano più solidale: perché? Basta dare una scorsa all’Aristodemo montiano, per legittimare il pacifismo delle divergenze: “Se Messenia piange, Sparta non ride”; ci si riferisce alla condizione delle due città alla fine della guerra del Peloponneso: Sparta, nonostante la sconfitta di Atene, se ne esce pesantemente indebolita sia dal punto di vista militare che economico. Morale della favola? Dal cascame del conflitto si raccolgono solo briciole e Lamezia, che fa incetta di insegnamento, ha saputo espungere tutti i pregiudizi più dissacranti. E siamo una sola cosa per relazione: Sambiase per Nicastro per Sant’Eufemia vale Uno per moltiplicazione. Viva l’algebra della cittadinanza, matematica docet!

Prof. Francesco Polopoli

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