Come spiegarci il nome di Sambiase? Viaggio tra sacro e profano

Sedi omonime come Monte Pietra di Sambrase, per cominciare, continuando, poi, con Sambrase a Titi presso Camini o l’altra Sambrase accosta a Montalto Uffugo, senza escludere forme affini quali Sambote e Sambate, potrebbero far pensare ad un’origine precristiana, senza con questo venir meno all’opinio communis che della nostra Sambiase, quella lametina, per intenderci, fa il luogo devoto a San Biagio per antonomasia.

C’è chi come Gaetano Boca postula l’etimo «xhambàzi» (pron. giambasi) che, nella lingua albano-epirota (e perciò pregreca), nel significato di «baratto di cavalli e animali da soma», consegnerebbe l’aspetto fieristico dei giorni nostri: sempre per lo stesso studioso, sulla falsariga di ipotesi preelleniche, la nostra Ligea, dalla forma «llixh/e-a» (pron. gligia o gligea), è da intendersi come «stazione di acque termali».

La Fiera («ei fu», manzonianamente parlando) e Caronte vengono fuori da sole in questo brevissimo itinerario linguistico, fateci caso! Mi permetto di aggiungere altre curiosità, premettendo che sono emerse dalla lettura di formule magico-religiose di provenienza nicastrese che, grosso modo, recitano così:

«Trona e lampi jati arrassu
chista è la casa di santu Sassu
Santu Sassu e santu Simuni
chista è la casa di nostru Signuri.
A numi du Patri, du Figghiu e du Spiritu Santu
trona e lampi fativi i cantu».
(«Tuoni e lampi allontanatevi /questa è la casa di san Sasso / San Sasso e santo Simone/ questa è la casa di nostro Signore / Nel nome del Padre, del Figlio e della Spirito Santo/ Tuoni e lampi fatevi da parte»)
Al di là del fatto che San Sasso è forma onomastica ignota al martirologio romano, mi preme sottolineare che al suo posto sovente figura quella di «Santu Vrassu» e che, secondo il sociologo Renato Cavallaro, testimonierebbe quest’ultimo un residuale di antichissimi culti preesistenti. Se, oltre a ciò, aggiungo un formulario, pressoché simile, di Toro nel molisano, vengono fuori ulteriori spunti di riflessioni:

«Trune e lampe state d’arrasse
cinte mjglie e cinte passe
iame na casa de Sante Iasse;
Sante Iasse e Sante Semòne
Iame na casa de nostro Segnore».

(«Tuoni e lampi state lontani da qui / cento miglia e cento passi / andiamo a casa di Santo Iasso / Santo Iasso e Santo Simone / andiamo a casa di nostro Signore»)
Non nascondo che mi fa specie trovare lo stesso riferimento (Iasso) in Calabria, più specificatamente a San Marco Argentano. Quindi la cosa non è del tutto isolata. Nel dialetto sammarchese, difatti, ho avuto modo di reperire questa cantilena (a distici quasi sempre ritmati):

«Truoni e lampi fativ’arrassu
Chissa è a casa ‘i Santu Jassu
Santu Jassu e Santu Simunu
Chissa è la casa di Nostru Signuru
Nostru Signuru è Gisucristu
Chissa è la casa ‘i Sampranciscu
Sampranciscu e addulurata
è la madonna da Pietàta
Quann’è nùvulu da Pietàta
Pigliat’u pani e và alla jurnàta
Quann’è nùvulu du Pitturùtu
Pigliat’u pani e và t’ingrùpa».

Insomma, a farla breve, ci troveremmo di fronte ad un evidente testo orante di matrice popolare su come prevenire i danni dei fulmini in nome di Santu Iassu. Se tanto mi dà tanto, data l’inter-scambiabilità dei due nomi (Iasu-Vrasu), come non pensare alla possibilità di una presenza divina più antica nel nostro territorio, prima della successiva cristianizzazione, che sarebbe stata financo facilitata dalla contiguità di suono?

Il mio pensiero, in questo momento, corre a Iaso (Ἰασώ, Iasō) o Ieso (Ἰησώ, Iēsō), figlia di Asclepio ed Epione, dea della guarigione, sorella di Igea, Panacea, Egle, Macaone e Podalirio. E rimarremmo sempre nel campo terapeutico, fateci caso! Perché? Bè, come non rammemorare, a questo punto, il primo termologo della storia, Ippocrate, quando si cimentò, illo tempore, in una descrizione puntuale delle proprietà delle acque e di come l’ambiente circostante potesse anche influire sullo stato di salute dell’uomo (De aere, aquis et locis). Qui ritornerebbe la nostra Sambiase, ancora una volta per le sue Terme, rispondendo all’appello, perché di classe: che gran signora!

Concludo dicendo che almeno per «Vox populi, vox Dei» mi son lasciato stregare da queste suggestioni, senza la pretesa di voler essere apodittico a riguardo, ci mancherebbe! Uno scoop, forse!? Non è così peregrino! Lo scoop-iamo, senza spazzarlo via, detto con ironia! Bloch insegnava che persino il vuoto è generativo, sempreché non lo si faccia confinare col nulla: solo quello, molto più verosimilmente, è apocalittico, non siete d’accordo!?!

Prof. Francesco Polopoli

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