Perché a Sambiase si dice «sce» invece di «sì»!?

A primo acchito, come ideale presentazione del tema, ci verrebbe da pensare alle denominazioni in uso per le varietà linguistiche medievali preletterarie, basate, per l’appunto, sulle differenti modalità di esprimere un’affermazione (il “sì). Chi non ricorda, a questo punto, il Padre della lingua italiana, il Vate per antonomasia, quando riproponeva una classificazione a lui nota da tempo:
la lingua “d’oil” (da cui oui, in francese), parlata nel centro-nord della Francia;
la lingua “d’oc”, nel centro-sud dell’Occitania, utilizzata soprattutto dai poeti trovatori;
la lingua del sì (cioè della nascente lingua italiana).
In quest’ultima tipologia faccio rientrare le differenze fisiche tra il sambiasino ed il nicastrese per motivare la fonetica del monosillabo assertivo in una delle aree del nostro pianoro lametino. Fermo restando che il significato è il medesimo («altroché, certamente, certo, d’accordo, esatto, O.K., okay, sicuramente, sicuro»), mi limito soltanto a giustificarne la motivazione intrinseca sottesa al solo aspetto di suono. E lo faccio alla luce delle radici classiche, che sono il punto fermo per affermare “sante o sacrosante ragioni” a riguardo: dalla locuzione latina «sic est», il cui significato è «così è», si è passati successivamente a s(i)c e(st), che, a ben vedere, è una particella residuale di una forma più antica.

Perciò, quando mi si dice, «i sciardi scialati ᾿i Sciambiasi», penso alla fierezza di una cultura millenaria che si è continuata dalle nostre parti con un semplice: «sì, lo voglio». Che altro aggiungere!? Ci si porga la fede, come in una celebrazione nuziale: a nozze con la storia, e non è poco, che ne pensate!? Magari in futuro, accanto ad un testo lirico, come quello di seguito riportato, possiamo sviluppare ulteriori finestre d’approfondimento, da cui affacciarci per godere sempre più delle meraviglie dei nostri luoghi, partendo anche dal repertorio lessicale, perché no!?

Sì e no
Io so le parole più corte del mondo:
una dice sì,
l’altra dice no.
Devi saperle bene adoperare
perchè da sole possono contare
più di un milione
di parolone
Ma non c’è orologio per segnare
l’ora di dir di sì
e l’ora di dir di no.
Io come faccio? Ascolto il cuore,
è lui il mio suggeritore:
ascolto, capisco,
e senza alcun timore gli ubbidisco.
Gianni Rodari
(da “Filastrocche lunghe e corte” – Editori Riuniti)

Un’ultima curiosità: le espressioni “sine e none”, ovvero “sì e no” sono le stesse particelle con l’aggiunta dell’enclitica latina -ne. Tutto questo comprova che per i segni più elementari della nostra vita quotidiana viviamo d’antico, satis est! Basia…

Prof. Francesco Polopoli

Foto: dal web 

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