Quello strano nome di Caronte a Sambiase

«Un Bravo storico non è colui che fornisce risposte univoche, monocausali e deterministiche, ma chi riesce a far emergere dal tessuto narrativo del suo lavoro, dall’insieme dei testi e dei documenti che scopre, interroga, collega e interpreta questioni nuove, problemi. È la domanda ad attivare una ricerca, e la ricerca si conclude, paradossalmente, con nuove, più avanzate e problematiche questioni»(Jean Tulard-Guy Thuillier).
Fermo restando che l’essenza storiografica sia quella di comprendere indagando (Droysen), ci rendiamo conto da soli che ad un certo punto le situazioni si fanno così fitte da dover procedere per ipotesi successive, utilizzando ulteriori opere di scavo, che non meno delle cose possono venirci in soccorso.
In primis mi riferisco alla lingua e a tutto il mondo culturale ad essa sotteso: come non tenerne conto!? Per quanto mi riguarda ritengo che essa sia un’eccellente specola d’osservazione e su questa pista d’indagine si muove lo spirito di un impegno personale a supplemento degli studi finora affrontati.
Il nome Caronte, entrando nel vivo della discussione, è riconducibile all’abbazia dei Quaranta Martiri: nascerebbe dalla deformazione (per metatesi) del numero greco (40) apocopato. Detto in soldoni, per renderlo più fruibile a tutti, partendo da τεσσα-ράκοντα (pron. tessa-ràconta), con soppressione della parte iniziale (tessa-), e scambio consonantico del resto della parola (-Caronta invece di -ràconta), si sarebbe passati alla storpiatura del nome mitologico delle nostre Terme.
Non si è nuovi in Calabria a deformazioni onomastiche di questo genere: un caso è l’Ascetario delle Armi a Cerchiara, per far un esempio.

Premesso ciò, considerando l’area magnogreca della nostra area, non posso non evidenziare alcuni spunti di riflessione lessicale: in Plinio, Naturalis Historia, II, 95, 208  («spiracula vocant, alii Charonea, scrobes mortiferum spiritum exhalantes, item in Hirpinis Ampsancti ad Mephitis aedem locum, quem qui intravere moriuntur» cioè «li chiamano spiragli, altri Carontei, fori che emanano un’aria mortale, ugualmente fra gli Irpini ad Ampsanto località verso il tempio di Mefitis, dove coloro che entrano muoiono») appare una voce consimile significante “caverne mefitiche”, “Charonea”, appunto! Ancor prima è opportuno sottolineare come la radice indeuropea *kar-/*kr, assommando su di sé il significato di “morte, puzzo, ribrezzo, carcassa”, si sia ben prestata al greco χαρώνιος (pr. charònios / it. “infernale, acheronteo”) e alla nostra parola “carogna” o quella francese “carogne”. Ne vien fuori che la cultura classica ci spinge all’olfatto diretto delle terme: insomma, gli odori delle acque termominerali si fiutano persino grazie ad una feconda tradizione, che non smette mai di tacere. Sul loro potere terapeutico, in questa sede, soprassiedo per la copiosa mole documentaria de beneficiis, una delle quali è la magistrale monografia sambiasina di Enrico Borrello.

Per quanto mi concerne, penso pure che la sorgente termale, con riferimento al traghettatore Caronte, convivendo con la cultura cattolica (non sarebbe il primo caso, poi!), possa configurarsi come sprone catechetico nel senso di «limen», ovvero «limite estremo, soglia»; il bene ed il male sono strettamente vicini: al di qua il demoniaco, e non poteva non essere questo mostro luciferino, che ha tanta fortuna in terra bruzia (penso a Cerenzia, nel crotonese, giusto per un riferimento immediato), e al di là la comunità di Dio (più specificatamente “I santi Quaranta Martiri”, oggetto di culto nelle strette adiacenze). Basta ritrovare in sé il «lumen» («la luce») ed essere armati di buzzo buono, il che, spesso, non è cosa assai semplice.  Del resto la buona novella è chiara: “entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conducealla perdizione, e molti son quelli che entrano per essa. Quanto stretta invece è la porta ed angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi son quelli che la trovano!” (Matteo 7:13-14).
Da quale parte intendiamo traghettare, allora!? E a chi affidarsi, soprattutto!? La laguna ci desta per scelta e non per lacuna…

Prof. Francesco Polopoli

foto: Luigi Serafino Gallo

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