Coronavirus, quanto durerà? Burioni: «Ecco i dati che ci diranno quando potremo abbassare la guardia»

In questi giorni in cui una parte dell’Italia sta facendo i conti con scuole, piscine palestre chiuse e tante limitazioni che hanno stravolto la quotidianità, sono in molti che si stanno chiedendo: ma quando tornerà tutto come prima? Quali sono i segnali che virologi e infettivologi stanno attendendo per darci il via libera a riprendere la vita di tutti i giorni e poter riaccompagnare i bambini a scuola, andare a trovare gli anziani in casa di riposo, o più banalmente concederci un aperitivo senza l’ansia di mantenere le giuste distanze?
 «Siamo all’inizio di un’epidemia»
«In questo momento in realtà siamo all’inizio di un’epidemia — precisa Roberto Burioni, virologo dell’ospedale San Raffaele di Milano — e sono giorni decisivi nei quali si potrà stabilire se siamo stati capaci di contenere l’epidemia o comunque di rallentarla. Non abbiamo farmaci e non abbiamo vaccini, solo due armi: la diagnosi che ci permette di distinguere Covid-19 da un’influenza e, ancora più importante, l’isolamento: è un virus, questo, che si trasmette attraverso i contatti sociali e non abbiamo altre alternative se non ridurli il più possibile. Fino a quando? Fino a quando il contagio non rallenterà».

Inversione di tendenza?
L’andamento dei contagi a livello nazionale, dopo una brusca accelerazione il primo di marzo (+528) ha registrato una decisa frenata il 2 marzo (+258). Siamo davvero di fronte a un’inversione di tendenza? «Per sapere se i contagi sono in calo non bastano i dati di un giorno, serve che il trend si mantenga in discesa per giorni e giorni. Non possiamo basarci su queste oscillazioni che possono dipendere da molte variabili, banalmente anche dal fatto che per qualche motivo in quel giorno sono stati analizzati meno tamponi. I numeri che vediamo oggi sono i contagi di 10 giorni fa, quando erroneamente pensavamo che il coronavirus non ci fosse anche perché ancora nessuno lo aveva cercato, nessuno immaginava che fosse già arrivato nel nostro Paese e nessuna restrizione era stata messa in atto. La verità è che il trend è ancora in crescita. Non sappiamo che cosa succederà nei prossimi giorni, ma non mi sorprenderei se la chiusura delle scuole venisse prolungata».

Quando saremo fuori pericolo?
Guardando l’esperienza di Wuhan i primi dati sull’efficacia delle misure adottate sono arrivati 16-18 giorni dopo dell’implementazione di misure severissime, molto più severe di quelle che stiamo vivendo noi. «Non c’è un dato assoluto a cui dobbiamo puntare che ci dirà che siamo fuori pericolo, ma dobbiamo osservare una curva discendente di contagi che si prolunga nel tempo. Se tra qualche giorno vedremo che il trend è in discesa vorrà dire che le misure adottate hanno funzionato. Ma se in quel momento molliamo, riaprendo scuole, stadi, palestre, il rischio è che i casi riesplodano e i sacrifici fatti non saranno serviti. Se il trend invece continuerà a salire vuol dire che le misure adottate non sono state sufficienti e dovranno essere riviste per renderle più stringenti. Qualunque sacrificio in più oggi non è nulla in confronto a quello che potrebbe accadere se il virus partisse libero perché il nostro sistema sanitario andrebbe in tilt. Il paziente uno, quel ragazzo di 38 anni che non è un anziano ma uno sportivo è ancora in vita perché è curato in modo adeguato e ha trovato un posto in terapia intensiva. Se ci ammalassimo tutti insieme gli ospedali andrebbero al collasso. Anche le persone più giovani possono sviluppare sintomi gravi».

Rallentare l’epidemia
L’obiettivo, lo sappiamo, è spingere il più possibile in avanti l’epidemia. Forse non riusciremo a batterla, ma a contenerla sì . «Ci sono diverse speranze: che il coronavirus diventi più buono, ma quando e se succederà non lo possiamo ancora sapere. Inoltre il fattore meteo potrebbe essere rilevante: altri coronavirus in generale circolano in primavera, ma quando arriva l’estate tutti i virus respiratori si trasmettono meno, non fosse altro perché le scuole chiudono (serbatoio molto importante di trasmissione) e si sta di più all’aria aperta». (corriere.it)

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