Il professore lametino Francesco Polopoli all’Università di Siena nella relazione del congresso internazionale: la canzone come attualizzazione del classico
La canzone è patrimonio immateriale dell’umanità: ecco perché merita una maggiore riflessione, anche alla luce di una riflessione letteraria. I grandi cantautori non fanno altro che ripresentare temi antichi su scale musicali sempre più aperte alle sperimentazioni: ogni avanguardia, però, è giusto sottolinearlo, non è mai orfana di memorie.
Battisti, Battiato, Gaber, Vecchioni bastano a testimoniare i geni ed il genio di una secolare creatività che non tradisce mai le tradizioni. Da Omero a Nada, da Lucilio a Gabbani il filo conduttore è un antico presente di affinità comuni. Un giorno ricorderemo la filosofia musicale di Battiato, la voce orante di Giuni Russo, il maledettismo di Vasco Rossi, la leggerezza luciliana di Francesco Gabbani, la totò-versione di Catullo al pari di tutti quei fenomeni conclamati, di cui diciamo aver fatto cultura, costume e società. Ben sa l’antropologo il cui sguardo sul mondo è posato su tutte quelle espressioni capaci di allargare il racconto sull’uomo. Ed il canto concorre a questo scandaglio d’animo: non è poi il termine persona, alla latina da per-sonare, nel significato più recondito, una dimensione musicale? Non aveva ragione, altresì, D’Annunzio a classificare negli Alcyones il genere umano come stirpe canora? Radice e canto, l’essenziale, se è invisibile agli occhi, è udibile almeno alle orecchie.
(Siena, Università per gli stranieri, 5-9 Settembre 2018) “Le vie dell’Italiano: mercanti, viaggiatori, migranti, cibernauti (e non solo)”
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