Capo Colonna, un santuario della Magna Grecia salvato grazie al web
Eravamo fermi agli appelli dei cittadini e al cemento che aveva invaso Capo Colonna. A Crotone, a poca distanza dal centro abitato, uno dei più antichi santuari della Magna Grecia ha rischiato di essere sotterrato dall’ignoranza, come dall’assenza di risposta da parte delle istituzioni.
La storia è semplice quanto incredibile. Per poter costruire un parcheggio davanti al sagrato di una chiesa, che è adiacente al perimetro dell’area archeologica, si è pensato bene di spianare il terreno e riservargli il più violento dei trattamenti. Trivelle, betoniere e gru in breve hanno massacrato una zona sulla carta intoccabile, e dalla quale nel frattempo affioravano nuovi reperti.
E la politica?, potremmo domandarci.
Il sindaco di Crotone Peppino Vallone, così come il Ministro della Cultura Dario Francheschini, non hanno saputo come fronteggiare il problema, né tanto meno prevenirlo o porvi rimedio nell’immediato. A nulla inoltre, nei mesi precedenti, era valso l’interessamento di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera e quello di Massimo Giletti durante una puntata de L’Arena. La catastrofe stava per compiersi, se un gruppo di crotonesi non avesse concentrato le proprie forze intorno al comitato “Salviamo Capo Colonna”, diventato poco dopo una pagina Facebook e soprattutto un hashtag: #salviamoCapoColonna, circolata subito nel web.
Durante l’estate avevo seguito e documentato la vicenda, descrivendola passo passo su Chefuturo!; e l’articolo che ripercorreva la via crucis dei crotonesi, fatta di sit e proteste, speranze e disillusioni, aveva così trovato un’audience capace di comprenderlo.
Da Twitter a Facebook a Instagram, da un blog all’altro della rete, la notizia si è via via diffusa velocemente.
Anche volti noti come Fedez, Beppe Grillo, Sabina Guzzanti, Nicola Morra e il giudice Ferdinando Imposimato hanno sostenuto la campagna.
Inoltre Vittorio Sgarbi è tornato a parlarne in televisione, sensibilizzando l’opinione pubblica e mostrandosi critico nei confronti di una situazione paradossale. Una situazione che sembrava condannata a peggiorare, se non fosse stato per la tenacia del comitato calabrese, che continuando ad affidarsi al web ha proseguito nell’opera di denuncia.
Adesso, quindi, a distanza di quattro mesi, verrebbe da chiedersi quale sia lo stato attuale dei fatti, se il cemento abbia ricoperto Capo Colonna o se a prevalere sia stato il buon senso.
Incredibilmente, essendo la regione di riferimento la Calabria, a vincere è stata la seconda opzione. La cementificazione dell’area è stata infatti scongiurata, e con più competenza si sta procedendo alla salvaguardia delle nuove scoperte.
Lentamente, l’antico sito romano sta prendendo di nuovo vita, con l’emersione delle basi dei colonnati e dell’ala nord del portico del foro. Metro dopo metro, l’orrore che ha sfregiato uno dei luoghi più spettacolari, e meno conosciuti, d’Italia, viene smantellato. Il tempio sacro ad Hera Lacinia sta riprendendo forma, e la popolazione coscienza della propria identità.
Erica Lagamba, portavoce del comitato “Salviamo Capo Colonna”, mi confessa che il risultato raggiunto ha sorpreso tutti. «Le nostre reazioni? Beh,… quando abbiamo saputo della rimodulazione del progetto quasi non ci credevamo. Anzi, abbiamo iniziato a crederci quando abbiamo visto i primi operai dare inizio ai lavori. Andavamo lì a Capo Colonna a controllare perché non potevamo crederci… ma pure per gustarci le operazioni di rimozione, che devo dire sono state molto lente! Rispetto al grande impiego di forze utilizzate per buttare cemento, per rimuovere quello stesso cemento sono stati assunti un paio di operai. Ma ve bene lo stesso, Capo Colonna è al sicuro adesso».
Chiedo inoltre ad Erica Lagamba com’è stato intraprendere questa battaglia, cosa ha provato, lei insieme agli altri ragazzi del comitato, nel corso di quest’ultimo, intenso anno.
«Non è stato per niente facile. Ci sembrava di combattere contro i mulini a vento, ogni volta. Ci siamo scontrati con molte avversità. È successo perfino che la soprintendenza abbia fatto circolare un video, nel web, dove spiegava che un’alternativa a quel parcheggio di cemento non era possibile, facendoci quindi passare per ignoranti!»
Una battaglia dunque. che è passata anche, anzi soprattutto, attraverso la rete, ma che grazie alla rete è stata vinta.
E se molto rimane ancora da fare, affinché si giunga ad «una rivalutazione totale dell’intero parco archeologico», precisa ancora Erica, è anche vero che moltissimo è stato conquistato. Cose apparentemente distanti fra loro, se non del tutto opposte – tecnologia e archeologia, web e antichità – sono riuscite a convivere e operare insieme. Un patrimonio millenario è stato appena salvato, e ora aspetta solo di essere conosciuto (da tutti).
(Da Che Futuro)
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