L’antropologa Alfonsina Bellio sul lavoro classico del professore lametino Francesco Polopoli

L’antropologa Alfonsina Bellio, Groupe Sociétés, Religions, Laïcités (GSRL), Parigi, è intervenuta sugli articoli di natura classica del professore lametino Francesco Polopoli che hanno avuto migliaia di condivisioni in Italia. Ora quegli articoli hanno avuto una sistemazione e presto ci sarà il volume piuttosto nutrito, edito alle stampe.

Ecco di seguito l’intervento che vi proponiamo sul nostro giornale.

”Ho conosciuto Francesco Polopoli nel 2011. Ho subito apprezzato la sua freschezza unita alla passione per le lingue e culture classiche, la sua dedizione per l’insegnamento, la sua serietà, la sua grande competenza, il tutto nelle sembianze di un ragazzo alla moda.
Anche le cravatte ricercate, tra l’altro, fanno da contesto a questa solidità versatile! L’amicizia, quella profonda, è nata in seguito, sulle coste inglesi.

Serbo ricordi piacevolissimi di quel settembre a Bournemouth, particolarmente mite. L’hotel dava sulla spiaggia e spesso, la mattina presto, discendevamo lungo la falesia per lunghe camminate scalzi nell’acqua, tra gabbiani, mugnaiacci e altri uccelli marini dalle dimensioni quasi inquietanti per noi mediterranei del Sud, abituati più o meno alle medesime specie, ma in scala ridotta. Quelle passeggiate regalarono a entrambi un solenne raffreddore, ma anche pensieri iodati e discussioni sui massimi sistemi che consolidarono una simpatia ch’era stata immediata.

Al di là dell’affetto che mi lega all’amico, ho scelto di scrivere queste poche righe per la grande stima che nutro nei confronti del professore e dello studioso. La circostanza da cui tutto ciò prende avvio non è delle più semplici. La scoperta di una leucemia avrebbe portato molti a ripiegarsi su di sé e su una contemplazione lacerante del proprio dolore, cosa peraltro più che comprensibile. Francesco, invece, ha saputo farne una leva per andare oltre i limiti della dimensione patologica, con una forza, una costanza e una dolcezza insieme esemplari, legate a quella che non trovo altri termini per definire, se non un’ontologia luminosa.

Studioso attento del lessico nelle sue differenti declinazioni, Francesco ha fatto della leucemia una « luce-mia », luce che offre una prospettiva diversa e più profonda sull’esistenza tutta. E « luce dei suoi occhi » sono gli studenti incontrati in giro per l’Italia nei lunghi anni d’insegnamento, per i quali ha voluto mettere nero su bianco pensieri e conoscenze. Luce di un sogno, aggiungo, quello di trasmettere il fuoco possente e parimenti soave che inebria chi è stato «rapito» dalla bellezza delle lingue e culture classiche fin dalla più giovane età.

I tanti articoli di matrice classica su cui ha lavorato rappresentano altrettanti elementi vitali di un mosaico. Il filo rosso che li anima è la volontà di trasmettere l’importanza e l’azione perenne del latino nel nostro quotidiano. Come un moto ondoso, che incessantemente lambisce le coste, ricoprendo e plasmando sabbia e sassi, trascinando con essi piccoli molluschi e altri esseri viventi, così l’idioma delle nostre comuni radici permea costantemente il nostro dire, in forme di cui i più sono sempre meno consapevoli. Dal lessico scientifico alle espressioni idiomatiche, siamo debitori al latino, come al greco e ad altre lingue vive più che mai, delle nostre stesse strutture di pensiero, che il linguaggio permea, come ricordano incessantemente filosofi del calibro di Giorgio Agamben.

Gli articoli di Francesco compiono un’operazione che, nel solco delle scuole antropologiche di tipo interpretativo, potremmo definire di traduzione di culture: attraverso la parola, attraverso il segno, nei suoi scritti un mondo che fu continua a essere, traducibile e intelligibile nell’attualità.

Tale operazione ha il grande merito di tradursi, essa stessa, in un’azione di valenza politica e sociologica. Personalmente temo e ricuso con le mie stesse forze quella tendenza diffusa a relegare il latino, le lingue antiche in genere, la filosofia e le arti in una sorta di limbo degli oggetti tanto graziosi quanto inutili di fronte all’avanzata della tecnica. Le politiche in materia di istruzione pubblica, in diversi Paesi europei, purtroppo, avallano questa tecnocrazia spacciata per necessaria al funzionamento della società e venduta ai più giovani come unica possibilità di formarsi alla domanda del mondo del lavoro contemporaneo. Mi chiedo perché gli stessi fautori e indefessi sostenitori di tali riforme nella scuola pubblica scelgano poi per i propri figli e nipoti i licei rinomati, quelli per intenderci che garantiscono ogni cura ai vivai delle élite dirigenti. Ebbene, in questi istituti, le ore di latino, greco, filosofia e scienze umane in genere, invece di essere decurtate crescono. Forse perché queste materie incidono nello sviluppo del senso critico e della creatività? Certe domande sono urgenti.

Nella raccolta degli articoli di Francesco possiamo trovare risposte senza dover assumere il cipiglio severo e un perfino un po’ lugubre al quale certo immaginario recente tende ad associare il latino e il mondo classico. Francesco racconta di freschezza del latino con un argomentare sovente vezzoso e faceto, che potrebbe perfino sembrare irriverente a qualche anima che evoca gli indimenticabili senes severiores catulliani. E così il sermo di Cicerone, di Virgilio e di Seneca si trova, ad esempio, confrontato al gergo comune nei telequiz del momento. Anche nella scelta di tematiche talora all’apparenza frivole possiamo a mio avviso leggere una volontà precisa, nonché l’eco di quella leggerezza angelica di cui parla il teologo benedettino Anselm Grün nei suoi scritti. Leggerezza che, lungi dall’essere superficialità, è approccio leggiadro alla profondità della vita. E dall’italum acetum a tutta una tradizione radicata nell’intero percorso della letteratura italiana, il sorriso è da sempre foriero di contenuti profondi.

Allora brindiamo al latino, alle culture classiche vive e vitali, a Francesco e a questa luce che, dalle sue pagine, saprà illuminare molti lettori del suo libro di approccio all’antico, prossimo alle stampe!”

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