Glifosato, numeri e dubbi sul diserbante vietato in Calabria

imageVietando l’uso del glifosato sui suoi territori, la Calabria ha aperto un nuovo capitolo della saga sul diserbante più usato al mondo. La Giunta regionale, aggiornando il disciplinare della produzione integrata delle infestanti, ha infatti detto addio all’erbicida della multinazionale Monsanto: un gesto che vede la Calabria prima in Italia e protagonista di una complicata disputa a livello europeo.

ECONOMICO E DIFFUSISSIMO. Per capire di cosa stiamo parlando, però, bisogna partire dalle basi. Il glifosato è un diserbante a basso costo usato da quasi 40 anni per eliminare le piante infestanti da campi, giardini pubblici e binari del treno, ma che solo recentemente è finito sotto i riflettori per i suoi potenziali rischi per l’ambiente e la salute dell’uomo. La sostanza è stata sintetizzata negli Anni 50 per iniziativa del chimico svizzero Henri Marini, ma è commercializzata solo nel 1974 sotto il brevetto Roundup e a marchio Monsanto. Grazie al suo ampio spettro d’azione, che «colpisce» le infestanti sia nelle foglie sia alle radici, inibendo uno specifico enzima delle piante indispensabile per la sintesi degli aminoacidi e seccandole in appena 10 giorni, raggiunse velocemente il successo e divenne in poche decadi l’erbicida più usato al mondo. Alla scadenza del brevetto, nel 2001, le aziende che producono glifosato si sono moltiplicate, e ad oggi sono 750 i diserbanti che lo contengono e 14 i marchi europei che lo commercializzano.

USA, BRASILE E CINA TRA I MAGGIORI UTILIZZATORI. Attualmente, secondo uno studio firmato dalla Transparency market research, si stima che nel 2012 siano state vendute 718 mila tonnellate di glifosato per un valore di mercato di 5,4 miliardi di dollari: una cifra destinata a salire entro il 2019 agli 8,8 miliardi. Tra i più grandi utilizzatori ci sono Stati Uniti, Brasile, Cina, India, Sudafrica e Argentina dove l’applicazione estensiva del pesticida ha provocato danni enormi alla salute dell’uomo.

In Italia, invece, secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), il glifosato è «tra le sostante più vendute a livello nazionale e la sua presenza è ampiamente confermata anche dai dati internazionali».

MONITORATO SOLO IN LOMBARDIA E TOSCANA. Tuttavia le uniche due regioni che ne monitorano la presenza sono Lombardia e Toscana. Nel primo caso la sostanza è stata rilevata nel 35% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali, mentre nel secondo caso – nonostante il glifosato sia stato cercato in soli 22 osservatori – la sua frequenza di ritrovamento oltrepassa il 90%. Per il resto della nostra penisola non esistono dati specifici ma la mancanza di statistiche (che di certo non fa ben sperare sulla situazione delle acque nostrane) non ha fermato la campagna contro l’uso del glifosato. Proprio in Calabria, infatti, 15 associazioni civili e dell’agricoltura biologica, che hanno riscontrato «sui campi» un grande uso di prodotti chimici per il diserbo, hanno firmato un appello per spingere la Giunta a vietarne l’utilizzo e si sono associate in un forum regionale permanente aperto a enti locali e singoli cittadini.

INQUINA LE ACQUE E CONTAMINA IL CIBO. Legato all’uso del celebre erbicida sarebbe infatti l’inquinamento delle acque superficiali dovuto in particolare al metabolita Ampa, frutto del processo di degradazione del pesticida, che a sua volta può causare una contaminazione degli alimenti. Diversi esperimenti hanno infatti riscontrato la presenza del glifosato nel sangue e nelle urine di persone che non erano mai state a contatto col pesticida e tracce sono state trovate persino nel latte materno. Altri accusano il glifosato di essere responsabile dell’insorgere di intolleranze, allergie e celiachia ma soprattutto di portare a termine un’azione tossica sui geni umani, nel caso di un contatto quotidiano con la sostanza.

CAPACE DI DANNEGGIARE IL DNA. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (lo Iarc, organismo dell’Organizzazione mondiale della sanità) ha definito il glifosato come «probabile causa di tumori» proprio perché capace di danneggiare il Dna secondo quanto testimoniato soprattutto da test clinici su animali. Per completezza è doveroso precisare che il glifosato è stato inserito dallo Iarc nel gruppo di sostanze con fattore di rischio 2A, lo stesso di carni rosse, bitume, fumi da combustione di legna e anabolizzanti.

Ma la pericolosità del glifosato non è affatto condivisa da tutti e la questione ha anzi generato un vero e proprio conflitto istituzionale. La stessa Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) si è messa di traverso rispetto a quanto dichiarato dall’ente dell’Oms, e nel novembre 2015, appena otto mesi dopo la dichiarazione dello Iarc, si è pronunciata definendo il glifosato «probabilmente non cancerogeno» richiedendo tuttavia livelli di sicurezza più alti per il controllo dei pesticidi negli alimenti.

EFSA ACCUSATO DI PARZIALITÀ. Il parere dell’Efsa ha però fatto scandalo negli ambienti specialistici ed è stato accusato di basarsi su una ricerca precedente finanziata dalle aziende produttrici di diserbanti. Un gruppo di europarlamentari ha dunque richiesto i dati grezzi usati per la valutazione della sicurezza dell’erbicida ma l’Efsa ha definito quelle informazioni troppo «sensibili dal punto di vista commerciale» e risposto con un rifiuto. Solo dopo la pronuncia in settembre della Corte di giustizia dell’Unione europea, che ha ribadito il diritto dei cittadini di essere informati al riguardo, l’ente ha trasmesso i dati ai parlamentari che continuano però a ritenerli «insufficienti».

L’UE CONTINUA A NON DECIDERE. La confusione sul tema regna dunque su tutta l’Unione, che entro il giugno 2016 avrebbe dovuto scegliere se rinnovare l’autorizzazione all’uso del glifosato nel continente. Di fronte a controversi pareri scientifici e a un’opinione pubblica sempre più in allarme, però, i 28 si sono limitati a rimandare la decisone di altri 18 mesi, rinviando di fatto una scelta che si trascina di proroga in proroga dal 2012. A favore dell’abolizione del glifosato sono Malta e i Paesi Bassi, che già da tempo hanno vietato la vendita del pesticida della Monsanto, ma anche la Francia che ha messo al bando alcuni diserbanti che contengono glifosato. Anche l’Italia, dall’ottobre del 2016, ha vietato l’uso dell’agrofarmaco nella fase di pre-raccolta in agricoltura, in parchi, giardini, zone ricreative pubbliche, proibendo poi in qualsiasi ambito l’impiego di una particolare miscela a base glifosato dal 22 febbraio prossimo.

CHIESTA L’ABOLIZIONE TOTALE. Il decreto del nostrano ministero della Salute, però, non è sembrato abbastanza ai 45 firmatari della campagna #StopGlifosato (tra cui si leggono nomi di associazioni insigni come Wwf, Legambiente e Slow food) che dal 2015 chiedono a governo e regioni l’abolizione totale del pesticida. In questo senso la Calabria si è dimostrata la prima della classe di tutta la penisola, anche se per risolvere i problemi del settore primario nemmeno la decisone della giunta è sufficiente. La proibizione del solo glifosato infatti rischia di innescare ulteriori problemi in quanto il diserbante verrebbe presto sostituito da altri agrofarmaci altrettanto pericolosi. Certo, si tratta comunque di una precauzione doverosa in attesa di riscontri scientifici più precisi e di un gesto di rassicurazione nei confronti della popolazione, ma il provvedimento anti-glifosato non chiuderà la questione della sicurezza alimentare europea e mondiale. Per sconfiggere i diserbanti, bisognerebbe smettere di usarli e preferire una rimozione manuale o meccanica delle piante infestanti: un processo che, però, è lungo e costoso, di certo non concepibile per i ritmi di un’agricoltura come la nostra, sempre meno sostenibile. (Lettera43)

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