Fallaci, la lettera alla madre: ‘India, follia che mi toglie il fiato’

fallaciEcco una lettera di Oriana Fallaci a sua madre, scritta nel 1968 da Nuova Delhi, inclusa nel volume La paura è un peccato che raccoglie le lettere (quasi tutte inedite) della giornalista e scrittrice fiorentina scomparsa dieci anni fa.
“Cara mamma,
ti scrivo attraverso il corriere diplomatico della ambasciata che parte stamani per Roma. Sono preoccupata dalla mancanza di notizie malgrado i due telegrammi che ho fatto a Casole. Forse oggi ci sarà una risposta ma parto fra poche ore per il nord, nel Cascemir, e tornerò domani. Ho provato a telefonare: impossibile. Il circuito è aperto solo per tre ore e neanche in quelle tre ore funziona (salvo miracoli) con l’Italia. Mi chiedo se il dolore ti sia passato, se tu riesca a dormire, se il cuore ti faccia scherzi. E sono veramente nervosa per questo.
Io sono distrutta dalla stanchezza. Non hai idea di cosa siano stati questi giorni: SENZA SONNO. Fin dal primo momento ho dovuto buttarmi a lavorare e non mi sono riposata un giorno solo. Per seguire questo «santo» mascalzone sono sempre andata a letto alle due, mi sono svegliata anche alle quattro del mattino (pensa!) e non ho fatto che viaggiare in regioni lontanissime: in macchina o in aereo. Se pensi a quanto è grande l’India, più grande dell’America, e in quale stato primordiale vivono… E poi il caldo, un caldo che non avevo mai dico mai trovato in nessun Paese in tutta la mia vita. Cinquanta gradi all’ombra, te ne rendi conto? Metti un uovo sul marciapiede e in mezzo secondo è sodo. Io, che amo il caldo, non lo sopporto. Ci sono momenti in cui mi sembra di impazzire. Ci sarebbe una piscina nell’albergo (che è buonissimo) ma a parte il fatto che ho dimenticato il costume da bagno, non ci sono mai. E così… È un tour de force che non immaginavo e che ha finito per stroncarmi: venire in India d’estate è una follia.
Tuttavia ho visto cose di un tale interesse, così sbalorditive e affascinanti, che nella sostanza accetto anche questa follia. L’India è davvero l’ultimo Paese al mondo dove il mondo moderno non è arrivato e starci è come tuffarsi in secoli e secoli addietro. Vorrei saper fare le fotografie per mostrarti qualcosa al ritorno.

Sono stata ad esempio nella città «santa» di Benares: qualcosa da togliere il fiato. Gli ignoranti ci vedono solo la sporcizia, la lebbra, l’orrore: per me è come essere un bambino dentro una favola. Fachiri, mangiatori di fuoco, nani, giganti, roghi di morti, folla che prega tuffata nel Gange, templi incredibili che affondano nell’acqua, in sbieco come la torre di Pisa… E quella folla colorita, nera, vestita di giallo di rosso di verde, le donne con il sari e l’anello al naso, il viso dipinto di disegni dorati, i santoni: qualcosa da togliere il fiato perfino a me che di mondo ne ho visto abbastanza. A volte vorrei che tu fossi con me, anzi che ci foste tutti: vero è che alla prima boccata di questo caldo a te verrebbe un colpo, e dopo una notte tra i topi e gli scarafaggi (a Benares ne avevo la camera piena come se fossero mosche ma alla fine mi ci ero abituata) dopo una notte lì chiunque di voi scapperebbe urlando di orrore. Io invece… che vuoi: sono fatta così. Certe cose in fondo mi piacciono, questa vita mi diverte. L’unica cosa che non butto giù, insieme al caldo, è il cibo. A me i cibi esotici piacciono sempre ma quello indiano… Proprio non ce la faccio. È atroce, schifoso. Spesso salto il pasto o mi nutro di banane. Pensa allo yogurth col pomodoro, il pepe, il pesce… tutto mischiato. È pazzesco. A Benares, dove mi svegliavo al suono del flauto di un incantatore di serpenti (proprio come nei racconti di Salgari, un serpente che usciva dalla cesta e si dondolava con la musica) ho digiunato tutto il tempo! Ora ho liquidato una parte del lavoro, ma la più difficile mi aspetta: devo andare nelle città sante a cercare quelli che fanno i miracoli. È una parola! Oltretutto come fai a comunicarci? Mica sempre parlano inglese! Parlano hindu!
Resterò in India altri quindici giorni. Poi Bangkok e poi Vietnam (dove è tutto calmo ma è incominciata la stagione delle grandi piogge. Sembra che acquazzoni apocalittici affoghino le città). Ti riscriverò ancora col corriere diplomatico, cioè la prossima settimana. Vedrò di fare in tempo a inviare anche il regalo per il compleanno di Elisabetta (che ho avuto il tempo di comprare!). È un vestitino indiano, coi pantaloni a calza di stoffa che vanno portati così, come sono, anche se ti sembreranno strani. Senza tagliarli o scucirli, un po’ attorcigliati. Non so come lo spedirò ma lo spedirò: mettiglielo per il suo compleanno! È bellino! E poi fammi sapere. Ne ho comprato uno anche a Edoardino, più semplice. Per il babbo ricorda la camicia cinese di seta che ho messo nel tuo cassettone.
Spero che a Casole sia incominciato il buon tempo e che nel frattempo non siano accaduti altri disastri o malanni. Vorrei scriverti altre cose ma devo portare la lettera alla ambasciata (dove sono molto gentili e mi trattano davvero bene). Ti abbraccio forte e penso continuamente a te, alla tua salute. Tanti abbracci affettuosi anche al babbo e alle mie sorelle. Un complimentino a York che qui non se la caverebbe un minuto: i cagnolini come lui li spellano, li mettono nella salsa marinata, e poi li cuociono al forno con la testa e tutto. Pensa tu!!! Povero York! Se lo sapesse forse si comporterebbe meglio! Scrivimi: se fai un espresso fo in tempo a riceverlo. Il matrimonio della Giuliana com’è andato? Ho fatto le fotografie a un matrimonio quaggiù: la sposa era vestita di rosso e lo sposo era vestito d’oro”. (Corriere)

 

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